mercoledì 19 ottobre 2011


Solo la buona politica
sconfigge la crisi



La violenza e il vandalismo sono atti da condannare e chi li compie deve essere perseguito penalmente.

Questo è un punto fermo che non puo' e non deve essere discusso o derogato e non è certo con la reintroduzione della Reale del ‘ 75 che si possono evitare le violenze: le tensioni sociali si combattono con le politiche del lavoro e dell’inclusione sociale.

In un’ economia che ha trasferito su scala planetaria le regole insane del capitalismo primitivo, che in Europa e negli Stati Uniti erano state moderate dalla forza delle politiche sociali, mi chiedo: le violenze commesse in questi anni da un liberismo sfrenato ed egoista, alimentato da una cupidigia senza freni morali, nei confronti del Lavoro, dell’uguaglianza e dei diritti sociali conquistati con enormi sacrifici da intere generazioni di donne e uomini, queste violenze chi le punisce?.

La manifestazione romana di sabato è stata una grande occasione per portare insieme all’indignazione, una forte critica verso un sistema che abbruttisce e svilisce lavoro e sapere; umilia e al tempo stesso soffoca la speranza di chi crede che lavorando onestamente, si possa costruire per se e i propri cari un futuro sereno.


Purtroppo pero è necessario fare un distinguo visto quanto accaduto: quei “ragazzi in nero” che sfasciavano le vetrine di Banche, negozi e Agenzie di lavoro, non rappresentano e mai lo faranno, l'intera generazione che deve uscire dalla disperazione con la forza delle idee e della buona politica, avendo così la speranza di costruire il proprio futuro.

Sappiamo che la violenza genera paura, ma produce altra violenza, e questo è inutile e dannoso quando cio' che si vuole ottenere è un nuovo inizio; e proprio per questo non possiamo fare altro che condannare fortemente i tafferugli di Roma.

Ma è fondamentale prendere coscienza della realtà storica nella quale viviamo, lavoriamo, e soprattutto facciamo crescere i nostri figli, e con loro il futuro: non può sostenersi a lungo il sistema attuale dove il divario tra l’opulenza sempre più sfacciata, che arrogantemente si beffa delle regole, e la certezza di una povertà che inghiotte gli ex ceti medi e avvelena la condizione giovanile, diviene sempre più ampio e incolmabile.

Possiamo definirla senza paura una pericolosa – e purtroppo gia' vista – degenerazione dalla democrazia; non dimentichiamo che la chiave sociale per favorire e far crescere la democrazia, è ed è sempre stata la diffusione delle ricchezze e delle opportunità.

La realtà ci parla di una nuova povertà: prendiamo ad esempio i dati del rapporto “ Poveri diritti” della Caritas che mostra un'attenzione particolare al tema dei diritti negati, perché per parlare di povertà non si deve ragionare solo in termini di reddito ma si deve volgere lo sguardo alla mancanza di diritto al lavoro, alla famiglia, all'abitazione, ma anche alla giustizia, all'educazione, alla salute.

E’ un diritto negato sopratutto quello di un futuro per i giovani: sono sempre più poveri e senza lavoro o prospettive; il dato piu' preoccupante è che sembra che le istituzioni stesse che dovrebbero intervenire per invertire la deriva democratica, abbiano accettato questa condizione come data e irreversibile.

Sono solo di un anno fa le dichiarazioni del presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua che in risposta a chi gli chiedeva perché l'Inps non fornisse ai precari la simulazione della loro pensione futura, come con gli altri lavoratori affermava :"Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".

Prendiamo ad esempio i dati raccolti dalla Caritas: fotografano un’Italia sempre più povera, dove sono 8,3 milioni i cittadini che vivono in povertà, pari al 13,8% della popolazione. Famiglie numerose, monogenitoriali e nel Sud quelle più colpite;

La povertà sta cambiando volto: il 20% delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto in Italia ha meno di 35 anni. In soli cinque anni, dal 2005 al 2010, il numero di giovani è aumentato del 59,6%. Tra questi il 76,1% non studia e non lavora, percentuale che nel 2005 era del 70%.


E non rassicurano nemmeno i dati che fotografano l'evoluzione della lotta alla poverta: l'Italia non è stata ancora in grado di trovare una soluzione efficace alla piaga della povertà: se nel 2009 erano 7,8 milioni i poveri (13,1%), nel 2010 hanno raggiunto quota 8,3 milioni (13,8%).

In totale in Italia sono 2,73 milioni le famiglie povere.

Questi sono i punti critici: queste le vere emergenze sociali ai quali tutti noi dobbiamo guardare con forte preoccupazione e pretendere che vengano finalmente prese in considerazione dalla politica.


Citando il manifesto degli indignatos spagnoli: le priorità di qualsiasi società avanzata devono essere l'uguaglianza, il progresso, la solidarietà, la libertà di accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, il benessere e la felicità delle persone, mentre l’'ansia e l'accumulazione di potere in poche mani crea disuguaglianza, tensione e ingiustizia, il che porta alla violenza, che noi respingiamo. L'obsoleto e innaturale modello economico vigente blocca la macchina sociale in una spirale che si consuma in se stessa arricchendo i pochi e precipitando nella povertà e nella scarsità il resto della società e alla fine il crollo.

Dopo un ventennio di egoismo e di proclami mediatici sul benessere e sul lusso, ci rendiamo conto che un’intera generazione non ha futuro, il grido newyorchese “riprendiamoci la ricchezza” vale più di cento trattati di antropologia sociale.

Si può ancora evitare questa situazione di sfascio, ma abbiamo bisogno di una classe dirigente che prenda coscienza della necessità di invertire la rotta e pensare al futuro.