mercoledì 1 luglio 2009

un altro candidato e un altro ancora.......




BEPPE GRILLO
candidato alla segreteria del PD

Descrizione: Il 25 ottobre ci saranno le primarie del PDmenoelle.
Voterà ogni potenziale elettore.
Chi otterrà più voti potrà diventare il successore di gente del calibro di Franceschini, Fassino e Veltroni.
Io mi candiderò.
Dalla morte di Enrico Berlinguer nella sinistra c'è il Vuoto.
Un Vuoto di idee, di proposte, di coraggio, di uomini.
Una sinistra senza programmi, inciucista, radicata solo nello sfruttamento delle amministrazioni locali.
Muta di fronte alla militarizzazione di Vicenza e all'introduzione delle centrali nucleari.
Alfiere di inceneritori e della privatizzazione dell'acqua.
Un mostro politico, nato dalla sinistra e finito in Vaticano.
La stampella di tutti i conflitti di interesse.
Una creatura ambigua che ha generato Consorte, Violante, D'Alema, riproduzioni speculari e fedeli dei piduisti che affollanno la corte dello psiconano.
Un soggetto non più politico, ma consortile, affaristico, affascinato dal suo doppio berlusconiano.
Una collezione di tessere e distintivi.
Una galleria di anime morte, preoccupate della loro permanenza al potere.
Un partito che ha regalato le televisioni a Berlusconi e agli italiani l'indulto.
Io mi candido, sarò il quarto con Franceschini, Bersani e Marino.
Partecipo per rifondare un movimento che ha tolto ogni speranza di opposizione a questo Paese, per offrire un'alternativa al Nulla.
Il mio programma sarà quello dei Comuni a Cinque Stelle a livello nazionale, la restituzione della dignità alla Repubblica con l'applicazione delle leggi popolari di Parlamento Pulito e un'informazione libera con il ritiro delle concessioni televisive di Stato ad ogni soggetto politico, a partire da Silvio Berlusconi.
Temi troppo duri per le delicate orecchie di un Rutelli e di un Chiamparino.
Ci sono milioni di elettori del PDmenoelle che vorrebbero avere un PDcinquestelle.
Con questo apparato affaristico e venduto non hanno alcuna speranza.
Il PDmenoelle è l'assicurazione sulla vita di Berlusconi, è arrivato il momento di non rinnovare più la polizza. Arrivederci al 25 ottobre!
BEPPE GRILLO

Sito Web: http://www.beppegrillo.it


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1 luglio 2009


Sono proprio arrabbiato

Postato su la Repubblica il 5 dicembre, 2007
Pensavo che cinque anni di Silvio Berlusconi alla guida dell’Italia fossero stati sufficienti a far capire che la sola prospettiva di un raddoppio sarebbe stata capace di tenere unita la sinistra italiana.
Pensavo che cinque anni di opposizione a vedere, impotenti, quello che può fare una destra populista, fossero stati sufficienti a far mettere da parte, alle formazioni del centrosinistra, beghe e interessi di parte.
Pensavo che l’impegno assunto dall’Unione di governare l’Italia seguendo il programma sottoscritto fosse sufficiente a tenere insieme, per cinque anni, chi aveva fatto quelle promesse.
Pensavo che i miei voti per Prodi alle primarie e per un partito dell’Unione alle politiche del 2006 sarebbero stati ripagati con almeno cinque anni di governo-governo, spesi pensando al bene del paese e non a se stessi.
Pensavo tutto questo e mi sbagliavo.
Me lo ha fatto capire, se mai ce ne fosse stato bisogno, Fausto Bertinotti quando ha detto, in un’intervista a Repubblica, che il governo “soppravvive”, che “questo centrosinistra ha fallito”.
E questo un anno e mezzo dopo il mio voto che dava a questo centrosinistra il mandato di governare.
No, così non va bene.
E quel mio voto mi dà il diritto di essere proprio arrabbiato.


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“Il Pd non puo’ essere abbandonato ai suoi attuali leader”
Ecco il manifesto congressuale del terzo uomo, parla Ignazio Marino
Testamento biologico, diritti civili, meritocrazia e laicità.
Una requisitoria che vale come una candidatura.
Come molti ragazzi della mia generazione preparavo gli esami di medicina in compagnia di un mito, un medico anche lui, Che Guevara, il cui sguardo spiccava sul poster appeso nella mia camera.
Crescendo ho affiancato a quella immagine la foto di Enrico Berlinguer con i capelli scompigliati dal vento, pubblicata sulla prima pagina dell’Unità quando morì. In quegli stessi anni in cui si formava la mia coscienza di adulto, attraverso l’educazione familiare e lo scoutismo consolidavo le mie convinzioni di credente su principi che non escludevano la partecipazione al fermento sociale degli anni Settanta. Tempo dopo, vivendo e lavorando negli Stati Uniti, mi sono ritrovato a curare con il trapianto il fegato decine di veterani del Vietnam che si erano ammalati di epatite durante la guerra.
Dai drammatici racconti di quei soldati contro i quali avevo manifestato da ragazzo, e dalle loro sofferenze di uomini, ho compreso meglio le responsabilità della politica, le colpe di governi che non esitano a manipolare la realtà e a privare della felicità le persone che, in genere, aspirano ad una vita serena e onesta.
Il mondo è cambiato negli ultimi quarant’anni con una rapidità sconosciuta in precedenza: nel 1969 esistevano solo quattro computer collegati in una rete tra altrettante università americane. Oggi le persone che accedono a Internet sono più di un miliardo e gli studenti forse non sanno nemmeno cosa sia un poster perché scaricano le immagini dei loro miti dalla rete e le condividono con gli amici su Facebook. Però non è cambiata la loro aspirazione a costruire insieme un mondo migliore.
Mi sono entusiasmato due anni fa quando milioni di persone, studenti e pensionati, lavoratori e casalinghe, in un clima festoso sono scesi nelle piazze italiane per partecipare in prima persona, con il loro voto, alla fondazione del Partito democratico. Fu un’esperienza straordinaria perché nasceva da una sentita esigenza di dare vita ad una grande forza democratica che avesse l’ambizione di governare il paese per modernizzarlo, strapparlo all’assenza di meritocrazia, alla corruzione dilagante, alla paura della diversità, eliminando l’abitudine a spacciare la furfanteria per competitività, ma soprattutto restituendo la speranza, la cui perdita in particolare tra i giovani, è l’elemento di disgregazione sociale più distruttivo che si conosca.
L’originalità dell’idea e la sua audacia risiedevano nella convinzione di voler edificare un partito non funzionale a se stesso e alla propria classe dirigente ma costruito da persone di diversa estrazione e orientato ad ascoltare tutti sui grandi temi della nostra epoca. Un partito in grado di ricreare luoghi di incontro e di discussione, anche accesa: luoghi non per pochi che si riuniscono per parlare del paese ma per molti che vogliono parlare con il paese. Oggi spiace constatare con amarezza che la politica spinge il dibattito pubblico a imputridire su argomenti che nulla hanno a che vedere con le esigenze della società, mentre buona parte della classe dirigente eletta si balocca intervenendo a proposito di vicende irrilevanti o semplicemente fastidiose, chiusi in palazzi dove non giunge l’eco della vita quotidiana.
Dove sono finiti i temi che riguardano la vita di ognuno? Il diritto al lavoro, ad un salario dignitoso, alla casa, la gestione dei rifiuti nelle grandi aree metropolitane, i treni per i pendolari, i cinquecento ospedali a rischio sismico, il milione di persone che ogni anno emigra dal sud per curarsi in un ospedale del nord, gli oltre 200 mila precari di una scuola sempre più povera, la giustizia senza risorse che costringe le persone nel limbo dell’incertezza? In Italia esiste una maggioranza che non vota centro-destra, che non frequenta le feste alla panna montata nei palazzi lussuosi, che si riconosce nei principi della solidarietà e dell’uguaglianza, ma che oggi si sente orfana e disunita in assenza di un interlocutore credibile, di un partito politico che si assuma delle responsabilità e sappia creare le alleanze essenziali per proporsi credibilmente al governo del paese. Non è un ragionamento scontato per me che, sino al 2009, non ho mai posseduto una tessera di partito anche per il disgusto che provavo, e provo, quando apprendo che qualcuno è diventato primario o impiegato all’aeroporto perché il politico giusto ha fatto la telefonata giusta. Eppure, mi sono convinto che la forza organizzata di un grande partito politico possa contribuire a raddrizzare le sorti di un paese zoppicante anche per quel che riguarda il rispetto delle regole democratiche.
Purtroppo, dopo la campagna elettorale del 2008, l’intuizione iniziale si è arrestata di fronte ai limiti o ai timori di un gruppo dirigente che non ha saputo gestire la forza del cambiamento. La reazione è stata la chiusura, l’autoconservazione più che la sfida, in pieno stile gattopardesco, uno stile che oggi mostra tutta la sua debolezza e che rischia di ferire mortalmente quel che resta del progetto. La vicenda del testamento biologico è stata esemplare: la posta in gioco non era solo consegnare una legge laica al paese, attraverso la quale ognuno potesse fare una scelta in base alle proprie convinzioni o alla propria fede. Significava affermare il principio secondo cui uno stato laico deve sempre proteggere i diritti civili con norme che siano davvero rispettose degli orientamenti e della libertà di ciascuno. Non “diritti speciali”, ma diritti uguali per tutti, siano essi gli ammalati, le donne, le coppie di fatto, gli omosessuali o chiunque altro.
Per questo il testamento biologico è stato la cartina di tornasole che ha dimostrato come la maggioranza della nomenclatura ha preferito una falsa unità, solo di facciata, piuttosto che dare una risposta chiara ad uno dei mille interrogativi che la modernità ci pone. E lo stesso accade per molti altri temi. Il Partito democratico ha mai discusso e poi stabilito una linea sull’opportunità o meno di tornare all’energia nucleare quando anche il Nobel per la fisica Carlo Rubbia ci ricorda che non esistono metodi sicuri per smaltire le scorie radioattive? E come si pone nei confronti di un paese nei fatti multietnico ma dove la cultura dell’integrazione è ancora un miraggio? Perché non si parla quasi mai del controllo che la criminalità organizzata esercita su parte delle attività produttive e dunque sull’influenza che ha sull’economia del paese? La mia risposta è netta: l’intuizione è stata giusta ma il percorso è sbagliato e perseverare nell’errore porta al fallimento.
E’ necessario, non per il Partito democratico che io concepisco come strumento, ma per il paese ascoltare le persone, raccogliere le idee migliori, offrire opportunità a chi è pronto ad impegnarsi, favorire meccanismi che diano la certezza che pagare le tasse non significa sovvenzionare lo sperpero del denaro pubblico ma affidare a chi accetta di sottoporsi al pubblico scrutinio le risorse per migliorare la vita di tutti. Le persone che incontro nelle piazze, negli ospedali, nelle scuole, nelle aziende continuano a credere in questi valori, ma vogliono il confronto, chiedono di essere ascoltati perché non si fidano più di un progetto a scatola chiusa proposto da chi ha dimostrato di non essere più al passo con i tempi. I sostenitori del Partito democratico sono stufi, delusi, nauseati dalle incertezze e chiedono posizioni nette e trasparenti dove, come si legge nel Vangelo di Matteo, il sì è sì, il no è no, tutto il resto è del maligno. E se non si trova un accordo, o se vogliamo chiamarla una “mediazione alta”, su un tema specifico, io penso che tutto il partito debba esprimersi liberamente e poi esigere fedeltà alla linea decisa democraticamente dalla maggioranza: è un diritto che gli iscritti dovrebbero rivendicare e poi sarà compito dei dirigenti dirigere e conciliare. Perché se manca questo, manca l’efficacia dell’azione. E tutti sappiamo di quanto sia necessario in Italia abbandonare gli annunci e agire, agire, agire.
Condivido questi sentimenti con moltissimi sostenitori del Partito democratico che in questo momento non si sentono pienamente rappresentati dai leader attualmente in campo e che mi chiedono di impegnarmi in prima persona. Per questo credo che il congresso debba servire soprattutto a fare chiarezza, a raccogliere una sfida e a dimostrare che è possibile cambiare, costruire attraverso il lavoro di persone giovani di spirito e solide negli ideali, appassionate, libere, visionarie ma determinate a far uscire dal tunnel della crisi economica e della mediocrità informe di chi lo governa, un paese conosciuto in tutto il pianeta per la generosità e l’intelligenza del suo popolo.


prof. Ignazio Marino chirurgo, senatore Pd



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Mario Adinolfi, terzo candidato alla segreteria PD Posted by Sofia Riccaboni

Ne avevamo già parlato, ma visto che si continua a ignorare la presenza del terzo candidato alla segreteria del Pd abbiamo deciso di reiterare e di proporvi anche la sua mozione. Ci pare poco corretto ignorare completamente che i nomi che concorrono, ad ora, alla segreteria del Partito Democratico, siano Franceschini, Bersani e Adinolfi.
ISCRITTI PROTAGONISTI, VERSO LA DEMOCRAZIA DIRETTA
“Tutti dentro”, per un Pd aperto e plurale,
radicalmente rinnovato senza cooptazioni


Mozione a sostegno della candidatura a segretario nazionale
di Mario Adinolfi

La stagione congressuale del Partito democratico arriva a meno di due anni dalla nascita di un soggetto politico che ha confermato di essere un modello per l’area progressista in tutta Europa. Grazie al lavoro di gruppi dirigenti interamente provenienti dall’esperienza dei Ds e della Margherita, l’avventura del Pd ha avuto inizio, non senza entusiasmi, subito gelati però da una serie impressionante di sconfitte pesanti. Prima quella delle politiche del 2008, poi in alcuni test amministrativi, infine alle recenti europee unite ad una più ampia tornata amministrativa. Il congresso e poi le primarie del 2009 dovranno dare risposta a questa domanda: perché il Pd continua a perdere consensi? Perché pare inadatto alla sfida del governo del paese? Quale leadership e quale piattaforma politica sarebbero più adatte ad invertire finalmente questa tendenza?

Mario Adinolfi e questa mozione intendono impegnarsi a costruire le condizioni di un nuovo Partito democratico che, pagato il debito di gratitudine presso le classi dirigenti di Ds e Margherita che gli hanno dato vita, renda praticabile la via della sfida per il governo del paese contro la peggiore destra populista d’Europa. Per ottenere questo risultato occorre rinnovare radicalmente il Pd utilizzando come leva della nuova classe dirigente gli strumenti di democrazia diretta, primo fra tutti le primarie, che già hanno offerto i primi frutti. Per fare ciò bisogna restituire protagonismo ad ogni singolo iscritto e poi a ogni singolo elettore del Pd, affinché avvertano che il loro impegno ha un valore, che il loro parere può incidere, secondo modelli da democrazia del terzo millennio, attenta alla quantità di idee politiche che scorrono in rete, nei luoghi di lavoro, nei territori da cui bisogna far ripartire il Pd.
1. Per un Pd duro e vincente
Non ci interessa andare ad un congresso che sia un regolamento di conti tra componenti interne, nell’eterna lotta tra dalemiani e veltroniani con ex popolari a fare la spola. Vogliamo un Pd che sia un amalgama riuscito e dunque molto duro grazie a una ritrovata vera compattezza che lo renda potenzialmente vincente. Un Pd federale che possa immaginare anche forme autonome territoriali a partire dal Nord del paese, dove si fa fatica a rappresentare le esigenze reali di una popolazione che letteralmente fugge dal voto e in particolare dal voto verso il partito dei riformisti italiani. Il Pd deve raccogliere questa sfida, innovare anche le ritualità del proprio essere in politica, lottare casa per casa per riconquistare un consenso che è andato via via sparendo, senza mai dare segnali di controtendenza.

2. Rinnovamento radicale
Il Pd ha bisogno di un rinnovamento radicale dei suoi gruppi dirigenti, coloro che sono stati protagonisti degli scorsi decenni del centrosinistra non sono attrezzati per vincere le sfide di modernizzazione riformista del paese attraverso cui si tornerà a governare l’Italia. Clinton, Blair, Jospin, Schroeder ora fanno altri mestieri. E sono stati protagonisti di importanti vittorie dell’area progressista nei loro paesi. I responsabili di continue sconfitte dei progressisti italiani ora porterebbero il Pd al disastro. Non si tratta di non saldare il debito di gratitudine che pure bisogna avere verso alcuni dirigenti che, tra l’altro, sono ora candidati alla segreteria del Pd. Si tratta di scegliere la via più efficace per ottenere la vittoria e il governo del paese, che è l’obiettivo conclusivo di questa stagione difficile del riformismo italiano. Insomma, semplicemente, con i vecchi dirigenti non è possibile conquistare questo obiettivo: non sono più credibili presso la maggioranza del paese, che reclama a gran voce rinnovamento. Ma il rinnovamento radicale dovrà essere conquistato e non potrà semplicemente essere elargito.

3. No alle cooptazioni
Non potrà esserci nessun rinnovamento se non conquistato attraverso un conflitto politico interno al Partito democratico su piattaforme politiche e anche linguaggi diversi. I giovani e meno giovani che attendono cooptazioni e padrinati sono destinati a ripercorrere strade che conducono a ulteriori sconfitte. Il gruppo dirigente attuale, sconfitto ma non domo, va battuto congressualmente e non blandito alla ricerca di un sostegno che sarebbe comunque condizionante. Per farlo bisogna difendere e ampliare gli strumenti di democrazia diretta interna al partito, a partire dall’utilizzo delle primarie, che dovranno essere il più aperte possibile. L’innovazione anche in termini di linguaggi e di strumenti di comunicazione e interazione con i cittadini, dovrà essere messa al centro di questo percorso conflittuale. C’è in particolare un’Italia che parla in digitale e una che vive in analogico. La prima è l’Italia del futuro che deve esprimere la classe dirigente di un partito dell’innovazione come dovrà essere il Pd.

4. 100.2.0
Il Partito democratico non deve rinnovarsi solo come gruppo dirigente, deve saper rinnovare il proprio impianto programmatico mettendo al centro della propria azione il riequilibrio generazionale delle risorse di welfare. La nostra proposta programmatica resta quella delle primarie di due anni fa ed è racchiusa in tre cifre: 100.2.0. Cento è la quota che consideriamo credibile per sostenere il sistema pensionistico e non avviare la generazione dei nati negli Anni Settanta e Ottanta a pensioni da fame. Quota cento significa sessant’anni di età e quaranta di contributi, sessantacinque anni di età e trentacinque di contributi, e così via, fatti salvi i lavori veramente usuranti, con parificazione dell’età tra uomini e donne, come proposto giustamente da Emma Bonino. A quota cento può diventare credibile che noi trentenni e quarantenni di oggi, dopo aver lavorato quarant’anni, possiamo andare in pensione con uno straccio di assegno che garantisca la sussistenza. Altrimenti, con l’accordo che si profila a quota 96, un’altra ipoteca pesantissima sarà messa sul nostro futuro e, dopo lo scippo del Tfr, ci ritroveremo definitivamente a vederci scippata una vecchiaia almeno vivibile.
Due è la percentuale del Pil italiano che vogliamo sia investita in ricerca scientifica, da subito, partendo dall’assegnazione di strumenti di decenza economica per i giovani ricercatori universitari, svincolandoli dal baronismo e dalla fame in cui versano oggi. Due è anche il numero della coppia, della giovane coppia, che deve essere tutelata in quanto tale se assume l’impegno ad essere un nucleo stabile di amore e lavoro comune all’interno della società, a prescindere dall’orientamento sessuale. Due sono i bisogni primari da soddisfare in questo senso: casa e lavoro. E da qui deriva lo zero.
Zero. Vogliamo zero interessi sugli interessi dei mutui per le giovani coppie che acquistano la prima casa, con risorse pubbliche che si liberano dalla ristrutturazione del welfare attraverso la proposta “quota cento”, che potrà prevedere ammortizzatori sociali degni di questo nome, che trasformino la flessibilità in una condizione dell’opportunità, non nella schiavitù che è oggi per milioni di giovani lavoratori precari. Vogliamo zero vincoli all’ingresso nelle libere professioni, che devono essere libere appunto, dopo l’ottenimento dei titoli di studio per esercitarle. Vogliamo zero dubbi sul fatto che lo Stato è laico, laico, laico e lo stesso zero dubbi sul fatto che la Chiesa abbia diritto di esprimere in piena libertà le proprie opinioni, perché il partito democratico è l’occasione storica per abbattere definitivamente un anacronistico steccato. Vogliamo zero discussioni attorno al fatto che l’emergenza ambientale è una questione primaria, che se non recuperata ora nell’agenda delle priorità della politica, rischia di scaricare i suoi prezzi letali su di noi e sui nostri figli. Vogliamo zero costi della politica che dovrebbe essere costruita tutta su base volontaria, come questa candidatura e vogliamo zero caste: azzerare non solo la casta dei politici corrotti, cancellando dalla possibilità di ricandidatura i condannati con sentenze passate in giudicato, ma tutte le caste che dalle loro torri d’avorio hanno trasformato questo splendido paese in una terra del neofeudalesimo. Vogliamo zero vincoli all’accesso alla rete, alla scaricabilità di contenuti in peer to peer per l’utilizzo personale, alla diffusione della banda larga anche attraverso il WiMax, all libertà del web. Zero mafia, zero camorra, zero ‘ndrangheta, zero omissis sui misteri d’Italia, zero rispetto per i terroristi, zero trame oscure, zero strapotere delle banche, zero conflitti d’interesse, zero dominio della politica sull’informazione e sulla Rai, zero umiliazioni per i consumatori, zero evasione fiscale, zero riduzione in schiavitù di bambini rom e giovani prostitute, zero disparità e conseguente parità piena della condizione femminile. Zero sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in qualsiasi forma, anche in quella moderna di un contratto co.co.pro in un call center a seicento euro al mese.

5. Tutti dentro
Il rinnovamento del gruppo dirigente, il rinnovamento dell’impianto programmatico non avrebbero senso politico se non si ritrovassero in una innovativa proposta sul fronte delle intese politiche, andando oltre l’idea di coalizione e aprendo, anzi spalancando, le porte del Partito democratico a gruppi dirigenti ed elettori dei radicali pannelliani, dell’ambientalismo, del radicalismo di sinistra, del socialismo, del comunismo democratico, del cattolicesimo sociale organizzato. Tutti dentro ad un nuovo Pd privo di steccati, capace di costruire poi un’intesa politica con Udc e Italia dei Valori per andare già alle regionali del 2010 invertendo la tendenza che vede il centrosinistra sconfitto ovunque a livello locale. La sperimentazione elettorale di questo nuovo Pd di stampo anglosassone, molto ampio e accogliente nei suoi confini, potrebbe riservarci la sorpresa di aver creato il primo partito italiano togliendo dall’area dell’assenza di rappresentanza politica un segmento di elettorato con cui i punti di sovrapposizione sono più di qualcuno e le storie di molti sono assolutamente le stesse.
Ci batteremo per questo, per tutto questo, con nettezza e senza mediazioni possibili. Non è un libro dei sogni, anzi, non è un sogno. E’ un progetto per un’Italia e un Partito democratico dei liberi e dei forti
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